La Brexit "no deal" di Boris Johnson

Boris Johnson ha esortato nel fine settimana una serie di ministri di Gabinetto a parlare proprio dei “preparativi” alla Brexit, chiarendo che il Regno Unito non accetterà alcun accordo a meno che i leader europei non sostituiscano il backstop irlandese che vedrebbe l'Irlanda del Nord pesantemente colpita (vedi nostra notizia dell'8 luglio u.s.).

Nel frattempo è arrivata un'altra doccia fredda da parte del proprietario dell'importante casa automobilistica inglese "Vauxhall", il quale ha avvertito di essere pronto a chiudere lo stabilimento di Ellesmere Port - con la conseguente perdita di 1.000 posti di lavoro - se la Brexit risultasse poco redditizia per lo stesso.

"Il no-deal è un passo verso l'ignoto: i prossimi 100 giorni di lavoro del Primo Ministro saranno ancora più imprevedibili dei suoi primi giorni", si trova scritto nel rapporto dell'IfG - Institute for Government, sottolineando quello che è ormai noto, ossia che l'UE difficilmente accetterà di negoziare eventuali accordi collaterali per attenuare l'impatto. E' molto probabile che il governo sarà costretto a fornire denaro e sostegno ad imprese e industrie che non si siano preparate, o che si troveranno colpite duramente dalla Brexit.

Non si è in grado di prevedere come il paese, le imprese e gli elettori reagiranno al no-deal: probabile che molti degli scontenti giungeranno da problemi che non sono ancora stati previsti. Proprio in preparazione al no-deal, Johnson ha ipotizzato un nuovo "comitato per le operazioni quotidiane", per concordare azioni e decisioni importanti, insieme a "quello per l’economia e il commercio" e quello "sulle strategie di uscita".

Mentre, infatti, i sostenitori della linea dura hanno invitato Johnson a procedere passando direttamente ai colloqui per un accordo di libero scambio, i principali ex ministri di gabinetto, tra cui Philip Hammond, David Gauke e Rory Stewart, si stanno preparando alla battaglia per assicurarsi che il Parlamento abbia voce in capitolo sulla forma di uscita del Regno Unito dell’EU.

Il forte timore che emerge tra le righe del rapporto IfG è che le energie - in termini di tempo, capacità e capitale politico - che si dovranno riversare sulla Brexit assorbiranno gran parte degli sforzi del governo, distraendo denaro e attenzione da altri punti di equivalente importanza per il paese. Non ultimo il lavoro della Pubblica Amministrazione per gli anni a venire, che prevede la necessità di almeno 16.000 funzionari al lavoro nei centri operativi "no-deal". Mentre una relazione della Confederazione dell'Industria britannica ribadisce, come sostenuto da molti ormai, che né il Regno Unito né l'Unione Europea sono pronte per il no-deal.